Ultima tappa: New York
New York è l’ultima tappa del nostro giro del mondo, il gran finale prima di chiudere lo zaino un’ultima volta e rientrare a casa. Questa volta siamo ospiti di un amico che vive nella Grande Mela da qualche anno e quindi sa darci le dritte giuste. Non potevamo scegliere città migliore per finire quest’avventura in grande stile.
Il nostro primissimo incontro con Manhattan è dal ponte di Brooklyn, uno dei simboli di New York. La giornata è grigia e i grattacieli si intravedono all’orizzonte, confusi nella foschia. Ma basta fare qualche passo sul ponte che il profilo della città comincia a farsi più nitido, a prendere vita, e sembra di camminare sulle nuvole. La Statua della Libertà a sinistra, Brooklyn alle spalle, i cavi di acciaio che si intrecciano sopra la testa e le auto che sfrecciano sotto i piedi: in un attimo New York ci conquista. Attraversare il ponte di Brooklyn è un viaggio che merita di essere fatto.
Entriamo in Manhattan, il vento freddo ci taglia la faccia e le mani. Ci sentiamo pieni di energia e di vita, quasi vorremmo saltare e gridarlo al mondo intero. New York è così: un vortice frenetico che puoi decidere di fare tuo, abbracciarlo e cominciare a girare fortissimo. Oppure puoi soccombere, perderti in un ritmo che di umano ha davvero poco. “There is something in the New York air that makes sleep useless”, scriveva Simone de Beauvoir.
Manhattan è immensa. Scordatevi di girarla a piedi. Un reticolato perfetto di vie lunghissime che tagliano in quadrati identici gli 87 km del cuore di New York. In linea verticale si incontrano le Avenue, numerate dalla 1 alla 12, mentre in linea orizzontale le Street, che si contano dal basso della penisola verso l’alto. È davvero semplice orientarsi a piedi. Più difficile, invece, è muoversi in metropolitana: le indicazioni sono confuse, le mappe quasi inesistenti, e i vagoni vecchi e sporchi. Ecco spiegato perché nei film tutti prendono i famosi taxi gialli che sfrecciano di continuo in ogni angolo della città.
Camminiamo per Manhattan e per i primi dieci minuti restiamo con il naso all’insù, incatenati dal profilo elegante di questi grattacieli altissimi che non finiscono mai e inghiottiscono senza pietà strade, auto e persone. Dopo lo shock e la meraviglia inziale, la città si trasforma in un potente flashback. Cominciamo a riconoscere tantissime cose, una dopo l’altra: Central Station, e ci sembra di aver aspettato un treno su quei binari, gli alberi arancio di Central Park, le luci del Rockfeller Center e l’ingresso maestoso del Plaza Hotel, “l’albergo più eccitante di New York”. Davanti ai nostri occhi, c’è tutto quello di magico che abbiamo visto nei film. New York è come un ricordo che in qualche modo appartiene a tutti quanti e al tempo stesso non è di nessuno.
Central Park è una favola verde nel grigio e nel cemento. La verità è che se non fosse circondato da tutti quei grattacieli, perderebbe metà del suo fascino. È impossibile non innamorarsi di questo parco immenso con i colori caldi dell’autunno. Nonostante il freddo, ci sono tantissime persone che corrono, passeggiano e fanno jogging. I newyorkesi si differenziano dai turisti per quell’aria snob che li contraddistingue in ogni momento, persino da bambini. La pista di pattinaggio è stata inaugurata qualche giorno fa e non possiamo perdere l’occasione di pattinare a Central park. Un ragazzo fa la sua proposta di matrimonio ed è subito commedia romantica.
Ground Zero è commuovente. Dove fino a 17 anni fa sorgevano le Torri Gemelle oggi si trova una valle di lacrime senza fine. Due buchi neri e profondi nel terreno, scavati esattamente alla base dei due grattacieli distrutti, in cui l’acqua scorre ininterrottamente. Sui bordi in metallo sono incisi i nomi di tutte le vittime. Qua e là si vede qualche rosa bianca, a ricordare che quel giorno qualcuno avrebbe festeggiato il proprio compleanno. A pochi passi il One World Trade Center, il grattacielo più alto di New York, svetta fiero in cielo e non se ne vede la cima. È il solo punto in tutta Manhattan dove il tempo si ferma, cala il silenzio e l’umore cambia.
La famosa Fith Avenue è una susseguirsi di negozi lussuosi ed esclusivi, uno dopo l’altro: Gucci, Dior, Tiffany, Cartier, Armani, il cubo di vetro dell’Apple Store. Quando la strada inizia a costeggiare Central Park, i negozi si trasformano in eleganti palazzi residenziali, attici meravigliosi e fuori dalla portata di tutti o quasi. Anche Times Square è proprio come te la aspetti. Un po’ una baracconata forse, un groviglio di luci e macchine senza fine che non dà tregua agli occhi e alle orecchie. A Wall Street, sulla punta della penisola, l’aria sembra essere più glaciale, frenetica, e i grattacieli più grigi.
New York merita di essere vista dall’alto. Salire sull’Empire State Building, uno dei grattacieli più famosi al mondo, costa quasi 40 dollari. È tantissimo, siamo d’accordo, ma ne vale assolutamente la pena. Solo da lassù ci si rende conto della bellezza, luminosità e verticalità di Manhattan e della maestosità di Central Park. È come trovarsi sul tetto del mondo intero.
L’ultima grande sorpresa di New York è l’High Line, il parco a mezz’aria che per circa 2 km costeggia Hudson River e il West side di Manhattan. Costruita sui resti dell’antica ferrovia da anni in disuso, è una passeggiata magica in cui natura e archittettura si intrecciano insieme, mentre il traffico della città scorre ai vostri piedi.
Per festeggiare il nostro arrivo a New York, andiamo al Mighty Queen a mangiare la carne bbq più grassa, unta e buona di sempre. Ci concediamo anche un leggero waffle e chicken a Sweet Chick (sì, l’abbinamento è discutibile ma per nulla male, se il vostro stomaco non è tra i più delicati), un paio di cheese cake, un gigante pancake e innumerevoli donuts.
Salutiamo New York il giorno del Ringraziamento, all’ora di pranzo: il cielo minaccia neve e per la metropolitana non c’è nessuno. L’atmosfera è surreale, quasi apocalittica. Imbarchiamo per l’ultima volta i nostri zaini e ci prepariamo a tornare a Milano, con le luci e l’energia di New York ancora negli occhi.